Quella che ormai è la maggiore casa automobilistica cinese prende il nome dall’acronimo di Build your dream, appunto Byd.
Il suo successo (solo nel mese di ottobre ha venduto 534.000 vetture elettriche e ha “messo nel mirino” Ford per diventare l’8° produttrice al mondo in termine di vendite di auto, puntando ad arrivare in tempi brevissimi a circa 4 ML, un risultato clamoroso se si pensa che è nata neanche 30 anni fa, nel 1995) ci dice, in tutta evidenza, che la crisi del settore non è per tutti. Se da una parte abbiamo colossi come Volkswagen, Mercedes, Stellantis, tanto per fare alcuni nomi, che continuano a soffrire, trascinando al ribasso l’industria manufatturiera dei rispettivi Paesi, dall’altra abbiamo realtà “emergenti” che, in primis per la politica dei prezzi, oltre che per l’innovazione di prodotto, conquistano sempre nuove fette di mercato (oltre ad essere “profeti in patria”, dove hanno praticamente “sbaragliato” il campo, lasciando agli altri le briciole).
Senza dubbio il marchio riflette molto bene lo spirito imprenditoriale del fondatore, Wang Chuanfu, attuale Presidente, partito come produttore di batterie, business che non ha mai abbandonato, visto che oggi è il 2° player sul mercato cinese, e che, solo tra agosto e ottobre di quest’anno ha assunto qualcosa come 200.000 nuovi lavoratori.
Sotto certi aspetti, possiamo dire che il successo di Trump, che nulla ha a che vedere con quel mondo, al punto che, come la promessa elettorale di introdurre dazi sull’export cinese verso gli Usa fino al 60% del valore delle merci conferma, la Cina è il nemico da combattere (per vincere una guerra ci deve essere un nemico e, laddove non c’è, lo si crea), rispecchia proprio quella filosofia: il suo Make America Great Again non è altro che un modo diverso di dire al proprio elettorato (prima ancora che ai cittadini americani) “ognuno è libero di realizzare i propri sogni”. Appunto Build your dream.
Quello che sta accadendo in questi giorni sui mercati finanziari americani (un po’ diversamente vanno le cose da altre parti, che si chiamino Europa, mercati Asiatici, etc) ne è forse la riprova più evidente.
Prendiamo il bitcoin. Una delle leve su cui il tycoon americano ha dichiarato di fare più affidamento per realizzare il “nuovo sogno americano”, una volta diventato Presidente, è la “deregulation”, un modo diverso per affermare che, dal suo punto di vista, “l’ordine definito” di regole e procedure può produrre, in molti casi l’inefficienza. Nell’ambito degli investimenti finanziari si può tranquillamente affermare che se c’è un asset in cui le regole non esistono, quello è il mondo delle criptovalute, all’interno del quale il bitcoin la fa da padrone.
Da quando Trump ha vinto le elezioni è cresciuto del 20%; ma nell’ultimo mese, da quando cioè si era capito che il vantaggio del partito repubblicano era difficile da colmare, il rialzo è stato addirittura del 34% (va detto che da inizio anno ha praticamente raddoppiato il proprio valore, arrivando a capitalizzare oltre $ 1.600 MD). E pensare che non più tardi del 2019, nel corso del suo primo mandato Presidenziale, lo stesso Trump aveva dichiarato che non era (e non sarebbe mai stato…) un fan delle criptovalute, non ritenendole equiparabili al denaro ed avendo oscillazioni fuori controllo, essendo basate su valutazioni basate sul nulla. Ma, evidentemente i tempi cambiano.
Si è passati dall’essere un acerrimo avversario all’essere il più convinto assertore della “bontà” di quegli asset (per lo meno di quella specifica criptovaluta). Ecco, quindi, che il bitcoin è in predicato di diventare una riserva strategica per il Tesoro americano. Il primo passo è la volontà di detenere tutti i 207.000 bitcoin in questo momento detenuti dallo Stato americano, frutto, per lo più, dei sequestri a seguito di indagini giudiziarie. In più, nei programmi del nuovo Presidente c’è la volontà di favorire la produzione nazionale di moneta virtuale. Senza contare il fatto che ha già fatto intendere che “lascerà a casa” Gary Gansler. Mica uno qualunque: si tratta, infatti, dell’attuale Presidente della SEC, la potente agenzia che controlla i mercati finanziari americani, “reo”, a suo dire, di aver emesso numerose norme finalizzare alla regolamentazione della criptovaluta e, quindi, ai relativi scambi.
Va peraltro ricordato che, nel frattempo, sono nati diversi ETF che consentono di investire nella criptovaluta, cosa che, evidentemente, ha dato nuova forza al mercato. Basti pensare che l’ETF costituito da Black Rock, partito circa 10 mesi fa, ha già raggiunto una dimensione di $ 33MD, superando quello, gestito sempre dalla casa d’affari americana, sull’oro fisico, partito diversi decenni fa e il cui patrimonio si aggira sui $ 32 MD.
Fatto sta che questa mattina (le criptovalute scambiano h24) il bitcoin ha superato i $ 90.000 (solo ieri aveva superato, per la prima volta nella sua storia, i $ 80.000).
Ancora e sempre, quindi, Build your dream.
Giornata di ribassi per i mercati asiatici.
A Tokyo il Nikkei sta per chiudere le negoziazioni con un ribasso dello 0,40%.
Ben più pesanti i mercati Great China: Shanghai lascia sul terreno circa l’1,40%, nonostante il Governo stia pensando ad una riduzione delle tasse sull’acquisto delle case per dare slancio al mercato immobiliare.
Ancor più marcata la discesa a Hong Kong, dove l’Hang Seng perde, in questi minuti, il 3,11%.
Giù anche il Kospi a Seul, in calo di quasi 2 punti (- 1,94%).
Sulla stessa falsariga Taiwan, con il Taiex a – 2,33%.
Sulla parità, in apertura, il Sensex di Mumbai.
Futures al momento negativi su tutti i mercati, più marcati in Europa (Eurostoxx – 0,97%), ben più contenuti a Wall Street (intorno al – 0,10%).
Caduta, nella giornata di ieri, del petrolio, con il WTI che questa mattina apre in ulteriore leggero ribasso (– 0,18%, a $ 67,99).
Gas naturale Usa ad un passo dai $ 3 (2,945, + 0,68%).
Continua la debolezza dell’oro, condizionato dalla forza del $ e dai buoni rendimenti offerti, in queste settimane, dal governativo Usa: questa mattina lo troviamo a $ 2.612, – 0,30%.
Spread a 127,3 bp.
BTP a 3,59%, in leggero ribasso.
Bund 3,32%.
Treasury che aprono le contrattazioni al 4,33%, in leggero rialzo verso il 4,30% precedente.
Nuova prova di forza del $, a 1,0632 vso €.
Bitcoin, dome detto, al nuovo record di $ 90.540.
Ps: come ampiamente riportato su molti quotidiani, il “genio” italiano ha trovato il rimedio per fare arrivare i treni in orario (uno dei grandi problemi italiani irrisolti): facendoli partire prima. Verrebbe da dire “elementare Watson”: come abbiamo fatto a non pensarci prima. Bisognerebbe, però dirlo agli utenti, soprattutto a quelli che il biglietto lo hanno già comprato. Ma la domanda è: nel momento in cui lo faccio partire prima, cambia l’orario di arrivo? Ovviamente no. Quindi, seconda domanda: l’efficienza di un sistema di trasporti si misura in termini di puntualità o in termini di tempi di percorrenza? Ergo, se per fare, per es, una tratta di 100km ci metto 4 ore e arrivo puntuale, vuol dire che il sistema funziona meglio rispetto alle previste, supponiamo, 3h che poi diventano 3h40’ (o giù di lì)?